Disturbi alimentari: approccio completo per la guarigione

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1. Disturbi alimentari: Binge Eating Disorder (BED) e Food Addiction (FA)

Il BED è caratterizzato da abbuffate ricorrenti in un breve lasso di tempo con la sensazione soggettiva di perdere il controllo.

Si parla di BED quando ci sono almeno tre caratteristiche associate, come ad esempio:

  • elevata velocità,
  •  imbarazzo mentre si mangia,
  • mangiare quando non si è affamati,
  • mangiare fino a sentirsi sgradevolmente sazi
  • senso di colpa o di disgusto associato a questi episodi, il tutto senza che si verifichi alcun comportamento compensatorio per controbilanciare l’assunzione di cibo.

Le ricerche che hanno esaminato il BED da una prospettiva psicopatologica hanno evidenziato che gli episodi di abbuffata sono consequenziali ad uno stato affettivo negativo e che lo stato emotivo tende a migliorare poco dopo l’episodio di abbuffata.

La dipendenza da cibo (FA), con la quale BED ha dimostrato un’elevata comorbidità e con cui condivide la sintomatologia, si riferisce a una condizione cronica e recidivante caratterizzata da un’alimentazione incontrollata al fine di ottenere piacere o alleviare il disagio emotivo o fisico. Si ritiene che l’AF abbia basi neurobiologiche che coinvolgono i circuiti della ricompensa e condivida somiglianze cliniche e neurobiologiche con i disturbi da uso di sostanze.

2. Implicazioni metaboliche e neurobiologiche

Da un punto di vista metabolico, una alterata risposta alle fluttuazioni della glicemia può essere ipotizzata nella FA, ma anche nel BED, in virtù del contenuto di carboidrati ad alto indice glicemico negli episodi di abbuffata. Di conseguenza, la secrezione di insulina e/o l’efficacia mirata possono alterare e non riuscire a mantenere l’euglicemia, ovvero l’insulina è prodotta in grandi quantità da determinare casi di ipoglicemia, o è prodotta in quantità esigue da non riuscire a ridurla.

I livelli di glucosio nel plasma svolgono un ruolo chiave nella regolazione quotidiana a breve termine della sensazione di fame, sazietà e, quindi, delle abitudini alimentari. È noto che variazioni sfavorevoli del livello di glucosio nel sangue e la presenza di episodi di ipoglicemia possono, a loro volta, favorire il desiderio di prodotti ipercalorici.

L’ipoglicemia reattiva, definita come glucosio plasmatico ≤ 70 mg/dL (≤ 3,9 mmol/L) entro 2-5 ore dopo un pasto, è caratterizzata da sintomi quali:

  • tremore alle mani,
  • sudorazione,
  • palpitazioni,
  • disorientamento,
  • disturbi della vista,
  • svenimento.

Fluttuazioni glicemiche e frequenti casi di ipoglicemia sono quindi responsabili della spinta verso comportamenti alimentari scorretti che possono sfociare nel BED e/o FA.

3. Approccio clinico e strumenti di valutazione

La letteratura sui correlati metabolici del BED ha rivelato una diretta associazione con l’obesità, il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica. La ricerca sui correlati metabolici dell’FA è ancora agli inizi. Studi recenti indicano che l’FA è comune tra le persone con obesità (prevalenza stimata che varia dal 25 al 42%) ed è associata a esiti sfavorevoli nella gestione della perdita di peso. La prevalenza dell’FA può essere ancora più elevata nei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica (57,8%).

4. Strategie terapeutiche e dietetiche

Diversi studi hanno documentato la forza con cui l’ipoglicemia e le fluttuazioni dei livelli di glucosio promuovono il consumo di cibi ultra-processati e calorici, stimolando le regioni cerebrali limbiche e striatali che innescano risposte di dipendenza sia a livello biologico che comportamentale.

Esistono anche alcune prove che mostrano l’interazione tra l’insulina e la segnalazione della dopamina, mediatore del piacere, nelle aree cerebrali di ricompensa. Il consumo di alimenti ad alto indice glicemico è associato ad un ulteriore aumento della secrezione di glucosio e insulina, che può favorire una successiva ipoglicemia.

Quindi, sulla base di questi risultati, si può ipotizzare che, l’ipoglicemia reattiva, supportata dalle fluttuazioni di glucosio e insulina, possa aumentare l’assunzione di cibo e comportamenti alimentari dannosi (ad esempio, abbuffate, dipendenza da cibo) che a loro volta possono aggravare e aumentare gli episodi di ipoglicemia reattiva.

5. Approccio multidisciplinare e prospettive future

BED e FA sono spesso associati all’obesità, al diabete di tipo 2 e alla sindrome metabolica.

Dal punto di vista del medico che si occupa di disturbi alimentari, questi risultati informano sulla necessità di indagare l’ipoglicemia e i sintomi correlati all’ipoglicemia nell’ambito della valutazione medica. L’ipoglicemia può rappresentare un fattore di rischio precoce per future complicanze metaboliche e deve essere valutata e affrontata nel contesto specifico.

D’altra parte, i disturbi alimentari associati all’obesità sono spesso sottodiagnosticati e non affrontati nelle strutture di cura dell’obesità, spiegando in parte il fallimento degli interventi sull’obesità. BED e FA meritano una precisa identificazione e devono essere affrontati per adattare trattamenti nutrizionali e farmacologici. Per la prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento su misura è quindi necessario un approccio multidisciplinare.

6. Strumenti di valutazione e prevalenza

Lo strumento più utilizzato per valutare la dipendenza da cibo è la Yale Food Addiction Scale 2.0 presente nel DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione.

Una diagnosi positiva alla Yale Food Addiction Scale è solitamente associata positivamente all’indice di massa corporea (BMI) e fortemente correlata al binge eating. Un recente studio su un campione non clinico della popolazione italiana ha stimato la prevalenza della dipendenza da cibo al 15,5% e l’84,2% dei soggetti con dipendenza da cibo sono stati classificati come sovrappeso o obesi.

Uno degli obiettivi più importanti per i medici è trovare un approccio dietetico efficace a lungo termine per le persone con BDE e FA che desiderano perdere peso, vale a dire un approccio che eviti il recupero di peso e le ricadute.

Il “modello dei carboidrati-insulina per l’obesità” proposto da Ludwing e Ebbeling nel 2018 ha dimostrato che il consumo di carboidrati trasformati ad alto carico glicemico determina cambiamenti ormonali che promuovono l’aumento del tessuto adiposo, aggravano la fame e riducono il dispendio energetico. Ciò suggerisce che una combinazione di restrizione calorica e una dieta a basso contenuto di zuccheri raffinati e trasformati potrebbe essere un valido approccio dietetico.

La letteratura scientifica suggerisce che un consumo di prodotti gratificanti dal punto di vista emotivo, ma a basso indice glicemico, potrebbero essere indicati per la gestione dei disturbi alimentari e nei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica.

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